|  |  | Mercoledì 22 luglio 2015 | |
Treatment cascade, obiettivo 90-90-90 vicino per alcuni paesi, ma l’Europa dell’Est è più indietro dell’Africa 
Slide della presentazione di Jacob Levi dell’Imperial College di Londra a IAS 2015.
L’analisi globale delle treatment cascade – le percentuali di persone con infezione da HIV
diagnosticata, in trattamento e con carica virale irrilevabile – mostra che alcuni dei paesi più ricchi
del mondo sono ancora molto lontani dall’obiettivo 90-90-90 fissato da UNAIDS. Ed a
progredire più lentamente è l’Europa dell’Est.
Sono i risultati presentati da Jacob Levi all’8°
Conferenza dell'International AIDS Society su Patogenesi, Trattamento e
Prevenzione dell’HIV di Vancouver – che molti degli intervenuti questa
settimana hanno definito la “Conferenza del ‘90-90-90’”.
L’obiettivo di UNAIDS è di arrivare a diagnosticare il 90%
delle infezioni da HIV, far entrare in terapia il 90% delle persone con
diagnosi di HIV e raggiungere l’abbattimento della carica virale HIV-RNA nel
90% dei pazienti trattati entro il 2020: un traguardo ambizioso, che consentirebbe
l’abbattimento della carica virale nel 73% nell’intera popolazione HIV-positiva.
Quanto manca per raggiungerlo? Alcuni paesi sono piuttosto vicini, ma in altri la distanza da
colmare è ancora enorme.
Gli studi condotti da un’équipe dell’Imperial College di Londra e
dell'Ospedale cantonale di San Gallo, in Svizzera, in un aggiornamento dei dati
già presentati in una precedente indagine, mostrano che Svizzera,
Australia e Regno Unito presentano la percentuale più elevata di persone
HIV-positive con carica virale irrilevabile: oltre il 60%, contro il 30% degli
Stati Uniti.
A livello mondiale, si stima che siano 36,9 milioni le persone affette
dal virus dell’HIV, ma l’infezione è diagnosticata solo nel 53% dei casi – il
che equivale a 13,4 milioni di persone in meno rispetto all’obiettivo del 90%. Il
41% di esse è in terapia – 14,9 milioni in meno rispetto all’obiettivo – e
infine il 32% di esse ha raggiunto la soppressione virale – 15,3 milioni in
meno rispetto all’obiettivo. Con l’attuale tasso di trasmissione, sono circa
due milioni le persone che ogni anno contraggono il virus dell’HIV.
Analizzando le treatment cascade
dei singoli paesi, i ricercatori hanno individuato delle forti debolezze a ogni
stadio del continuum di cure. Lo scopo era quello di identificare i passaggi
dove si perdevano oltre il 10% delle persone (detti ‘breakpoint’).
Nella popolazione che si stima affetta da HIV, la percentuale di persone
con infezione diagnosticata risultava variare dall’86% di Stati Uniti e
Australia al 51% dell’Africa sub-sahariana e al 44% dell’Ucraina. In molti
paesi, si registravano dei breakpoint
proprio nella fase della diagnosi, il che evidenzia l’importanza di aumentare il
tasso di infezioni diagnosticate a livello mondiale.
I programmi di ‘cash transfer’ non riducono l’incidenza HIV in uno studio in Sudafrica, ma le ragazze che vanno a scuola sono meno a rischio 
L’équipe di HPTN 068. Foto di Audrey Pettifor.
L’istruzione ha mostrato di svolgere un ruolo importante
nella prevenzione dell’infezione da HIV nell’Africa sub-sahariana, soprattutto
per le adolescenti. In vari paesi si stanno perciò sperimentando vari tipi di
interventi per promuovere la frequenza scolastica, tra cui i cosiddetti
programmi di ‘cash transfer’. Alla Conferenza
sono stati riferiti questa settimana i risultati di due ampi studi randomizzati
in proposito.
L’erogazione di una somma di denaro vincolata all’impegno
da parte delle famiglie di mandare le figlie a scuola non ha mostrato di
ridurre l’incidenza dell’HIV in uno studio randomizzato condotto nel Sudafrica
rurale, ha riferito Audrey Pettifor dell’Università del North Carolina.
Sebbene non si sia dimostrato in grado di ridurre
l’incidenza dell’HIV, il programma di ‘cash transfer’ è tuttavia risultato
associato a tassi di rapporti non protetti inferiori rispetto a un gruppo di
controllo.
Lo studio ha anche rilevato che l’abbandono scolastico o
la scarsa frequenza risultavano associati a un tasso di incidenza HIV
significativamente più elevato nelle giovani donne. Sono risultati che
confermano quanto già osservato in precedenti studi condotti nell’Africa sub-sahariana,
ossia che l’istruzione aiuta le giovani donne a proteggersi dall’infezione sia
durante gli anni della scuola che in seguito.
Un secondo studio, CAPRISA 007 – che prevedeva
l’erogazione di una somma di denaro a giovani di ambo i sessi in cambio
dell’impegno a sottoporsi al test HIV, a partecipare a un programma educativo e
a ottenere buoni risultati nello studio – ha riscontrato una riduzione del 30%
dell’incidenza del virus herpes simplex di tipo 2 (HSV-2), ma nessuna riduzione
dell’incidenza dell’HIV.
…ma gli incentivi in denaro promuovono il ricorso alla circoncisione e ai servizi di prevenzione della trasmissione materno-fetale 
Slide della presentazione di Harsha Thirumurthy a IAS 2015.
Gli incentivi in denaro sono oggetto di studio anche per
il ruolo che potrebbero svolgere per promuovere la prevenzione: nell’Africa
sub-sahariana hanno infatti dimostrato di aumentare il ricorso a servizi preventivi
chiave, come dimostrano i risultati di due studi randomizzati.
Il primo studio, condotto nella provincia di Nyanza, in
Kenya, ha riscontrato che la distribuzione di buoni pasto faceva aumentare in
maniera significativa il ricorso alla circoncisione; il secondo, condotto nella
Repubblica Democratica del Congo, ha dimostrato che anche incentivi modesti
bastavano per far aumentare notevolmente il mantenimento nei servizi di
prevenzione della trasmissione materno-fetale dell’infezione da HIV.
La profilassi pre-esposizione (PrEP) 
Il panel del simposio sulla PrEP di IAS 2015. Foto di Liz Highleyman, hivandhepatitis.com.
Le modalità
di assunzione della PrEP e le
impressioni delle persone che la assumono sono stati
argomenti oggetto di molte discussioni alla Conferenza dell’International AIDS
Society.
Due ampi studi, ADAPT (HPTN 067) e Ipergay, hanno dimostrato
che è possibile optare per regimi programmaticamente intermittenti in modo che
la maggior parte dei rapporti sessuali sia protetto dall’azione dei farmaci.
Anche se questo dovrebbe proteggere dall’infezione, tuttavia, sono necessarie
ulteriori informazioni farmacologiche per avere la certezza che chi assume la
PrEP riesca a raggiungere una concentrazione dei componenti del Truvada (emtricitabina e tenofovir)
sufficiente contro l’infezione.
Lunedì è
stato presentato uno studio ancillare del regime farmacologico impiegato nello
studio Ipergay. I partecipanti di Ipergay assumevano due dosi di PrEP
prima del rapporto sessuale e due dosi dopo. Dai risultati è emerso che, negli
MSM che seguivano questo regime, l’emtricitabina iniziava a svolgere la sua
azione protettiva già 30 minuti dopo l’assunzione, ma il tenofovir impiegava 24
ore per raggiungere livelli sufficienti nei tessuti rettali. Ciò significa che
la dose da assumere dopo il rapporto è cruciale per chi assume la PrEP meno di
una o due volte la settimana.
Un altro studio farmacologico ha mostrato che i regimi
intermittenti possono non garantire livelli di farmaco adeguati per la
protezione della donna in un rapporto vaginale, perché il tenofovir risultava
impiegare il doppio del tempo per raggiungere il livello picco nella cervice uterina
rispetto al retto – senza contare che nella cervice non ha mai raggiunto più
del 10% dei livelli riscontrati invece nei tessuti rettali.
In termini di protezione dalla trasmissione nei rapporti
anali, gli autori hanno calcolato che con una dose di tenofovir si otteneva una
protezione dall’HIV del 77%, una percentuale più alta del 38% suggerito da uno studio
su espianti di tessuto rettale, anche se lì il limite inferiore dell'intervallo
di confidenza era del 40%. La proiezione stimata è 89% dopo due dosi e 98% dopo
tre: un precedente
studio ancillare del trial sulla PrEP iPrEx aveva concluso che
quattro dosi settimanali fossero sufficienti a garantire una protezione
praticamente del 100% contro l’infezione da HIV.
Dunque cosa si può dedurre sull’efficacia preventiva del
regime di Ipergay e dei regimi intermittenti di ADAPT?
Innanzitutto, ancora non si hanno informazioni sulla
protezione nei tessuti vaginali e cervicali sufficienti a stabilire se e in che
misura i regimi intermittenti sono efficaci per le donne o per gli uomini
transessuali che hanno rapporti vaginali. Per il momento, a chi ha rapporti
vaginali conviene quindi raccomandare l’assunzione giornaliera della PrEP.
Per quanto riguarda i rapporti anali, invece, sembra
effettivamente di poter affermare che la PrEP garantisca un buon livello di protezione
fino a una settimana dopo l’ultima dose assunta, se l’assunzione è stata regolare.
L’emtricitabina entrerebbe in azione già qualche ora dopo l’assunzione di una
successiva doppia dose, purché l’intervallo non sia più lungo. Se invece la
PrEP viene assunta prima del rapporto ma dopo un lungo intervallo di tempo è
fondamentale assumere anche le dosi successive al rapporto – entrambe.
Complessivamente si nota che il regime di Ipergay
consente più flessibilità nei tempi di assunzione, perché la prima dose
post-rapporto può essere assunta in qualunque momento nelle 24 ore successive:
il che è molto più facile che doverla assumere nelle due ore immediatamente
successive al rapporto, cosa che ha creato difficoltà ai partecipanti di ADAPT. I
motivi per cui le persone richiedono – o non richiedono – la profilassi
pre-esposizione o la assumono – o no – una volta avuta la prescrizione sono
probabilmente molto vari e dipendono tanto da fattori sociali (le politiche
locali) e credenze culturali quanto da elementi più personali come l’avere o
meno una relazione.
Serosorting e carica virale 
Immagine tratta dallo studio Opposites Attract. www.oppositesattract.net.au
Per ‘serosorting’ si intende la selezione di partner
sessuali con lo stesso stato sierologico o la scelta di fare a meno del
preservativo nei rapporti con tali partner. È chiaro, però, che la situazione non
si può banalmente riassumere in “le persone HIV-negative scelgono altre persone
HIV-negative” e “le persone HIV-positive stanno con altre persone
HIV-positive”.
I maschi gay, per esempio, possono scegliere chi sarà il
partner recettivo in base allo stato sierologico. Una persona HIV-negativa può
decidere che è più sicuro fare sesso senza preservativo con un partner
HIV-positivo con carica virale non rilevabile piuttosto che con uno che si
dichiara HIV-negativo ma non fa il test da un anno. Per questi comportamenti
“siero-adattivi” è tuttavia necessario che ci sia una sufficiente
consapevolezza dei meccanismi di trasmissione dell’HIV a livello sia
dell’individuo che della comunità, e allo stesso tempo possono esserci problemi
legati allo stigma.
Stando
ad alcuni studi presentati alla Conferenza, ci
sono gruppi di maschi gay australiani e statunitensi che tengono in
considerazione elementi come la carica virale non rilevabile in un partner
HIV-positivo e il tempo trascorso dall’ultima volta che un partner HIV-negativo
ha fatto il test, per decidere se usare o meno il preservativo in un rapporto
sessuale.
Dai risultati di questi studi emerge che più in una comunità si discute
del rischio di trasmissione dell’HIV con partner che hanno carica virale
irrilevabile e più si diffonde la consapevolezza del rapporto tra carica virale
e trasmissibilità, più questi elementi incidono sulle decisioni in merito
all’uso del preservativo e più attenzione viene fatta allo stato sierologico
del partner.
Counselling HIV di coppia 
Slide della presentazione della dott.ssa Nora Rosenberg a IAS 2015.
In Malawi, i servizi di counselling HIV e il test per le donne in stato
di gravidanza coprono quasi il 100% della popolazione. Anche se viene incoraggiata
l’adesione in coppia, è raro che il partner maschile si faccia avanti – e il
risultato è un’opportunità mancata di fare una diagnosi di HIV.
Quando le coppie accedono ai servizi di counselling HIV e fanno il test
insieme, ci sono vantaggi come la possibilità di prendere insieme decisioni
informate sulla prevenzione della trasmissione HIV e la salute riproduttiva, o
sostenersi a vicenda, o aiutarsi l’un l’altro ad aderire alle terapie. La
non-adesione del partner maschile viene spesso citata come barriera all’accesso
a cure e trattamento da parte delle donne, oltre che ai servizi di prevenzione
della trasmissione materno-fetale.
Un’équipe
di ricercatori ha condotto una sperimentazione a Lilongwe, in Malawi, per
verificare se contattando attivamente i partner delle donne che fruivano di
cure prenatali era possibile aumentare l’adesione ai servizi di counselling HIV
e al test in coppia. Le strategie testate sono state due: l’invio di un
invito al partner maschile e l’invio di un invito seguito da una telefonata o
una visita a domicilio.
Entrambe hanno mostrato di aumentare l’adesione da parte degli uomini, e
in particolare la seconda ha dato un forte impulso al ricorso a counselling HIV
e test in coppia. Dei 126 uomini che si sono presentati, il 47% è risultato per
la prima volta positivo al test (il 25% già sapeva di avere l’infezione). La
dott.ssa Rosenberg, presentando lo studio, ha sottolineato che questa strategia
può avere importanti risvolti positivi in termini di salute pubblica.
Nuovi antiretrovirali: un promettente inibitore della maturazione potrebbe essere il capostipite di una nuova classe di farmaci 
Carey Hwang a IAS 2015. Foto di Liz Highleyman, hivandhepatitis.com
La terapia antiretrovirale
combinata (ART) comprende vari agenti che attaccano l’HIV in diverse fasi del
suo ciclo di vita, ma nessuno dei farmaci attualmente approvati inibisce
l’assemblaggio, la maturazione e la fuoriuscita dalla cellula ospite del virus.
L’inibitore della maturazione
dell’HIV di nuova generazione BMS-955176 si è dimostrato ben tollerato ed
efficace nella soppressione della carica virale quanto gli antiretrovirali
standard se usato in combinazione con atazanavir (Reyataz) in uno studio
di 28 giorni i cui risultati
sono stati presentati alla Conferenza come
‘late-breaking’.
Se ne verranno ulteriormente
comprovate sicurezza ed efficacia, BMS-955176 potrebbe diventare il capostipite
di una nuova classe di antiretrovirali che rappresenterebbe un’importante alternativa
per chi ha sviluppato una forte resistenza alle classi di farmaci attualmente
in uso.
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